Le tante guerre in giro per il mondo sono davvero “per problemi” o per “vendere le armi?”. E’ la domanda posta, durante l’Angelus, da Papa Francesco, che, all’indomani della veglia di preghiera per la pace, è tornato a parlare della Siria. In quella nazione – ha detto – “cessi subito la violenza e la devastazione e si lavori con rinnovato impegno per una giusta soluzione del conflitto fratricida”. Un nuovo forte intervento, dunque, di Papa Francesco nel pressing per la pacificazione in Siria avviato dall’Angelus di otto giorni fa, insieme alla considerazione, fatta a braccio colloquiando con la piazza gremita, che “sempre rimane il dubbio: questa guerra, quest’altra – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?”. Papa Francesco, che ha ringraziato con calore quanti ieri si sono uniti alla iniziativa di digiuno e preghiera per la pace, ha chiesto di continuare su questa via, e con lo stesso spirito. La cessazione immediata della violenza in Siria è il primo punto indicato dalla diplomazia pontificia in questi giorni di fibrillazione per l’ipotesi di un intervento statunitense contro Assad fuori del quadro Onu. Ed è stato indicato anche agli ambasciatori riuniti due giorni fa in Vaticano per l’illustrazione della azione della Santa Sede nella crisi siriana. Sul commercio mondiale di armi, legale o illegale, la diplomazia papale conduce da tempo una forte azione anche in sede Onu.
La domanda posta oggi da papa Francesco, se le tante guerre in giro per il mondo siano “per problemi” o per “vendere armi”, se la pongono in tanti, di fronte al caso siriano: l’uso di armi chimiche sui civili è stato finora per la prassi e per il diritto internazionale il punto di non ritorno su cui scegliere o meno di intervenire. Qualcuno ha osservato che non solo Assad, ma anche i suoi oppositori, potrebbero stare usando armi chimiche sui civili inermi e sui bambini. C’è chi preme per intervenire subito, chi ricorda le armi chimiche mai trovate nell’Iraq dopo Saddam, quando l’amministrazione Bush intervenne mostrando prove rivelatesi false su armi letali in mano a Saddam