di Giobax
Da mesi si sta combattendo la battaglia per il referendum sulla riforma costituzionale approvata dal Parlamento. I toni si sono fatti sempre più accesi,al punto che i favorevoli ed i contrari alla riforma sembrano tifosi da stadio, contrapposti nel tifo per le loro squadre del cuore. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, al momento di intraprendere il complicato cammino per arrivare alle modifiche della Costituzione, disse che quello era lo scopo fondamentale del suo Governo. In caso di insuccesso si sarebbe fatto da parte, salvo poi ritrattare accorgendosi che la frase stava diventando un boomerang. Ricordiamo l’iter che ha portato l’ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi. Nel 2013 il voto a suffragio universale non ha decretato un vincitore: tre formazioni politiche hanno ottenuto più o meno la stessa percentuale di voti, rendendo problematico comporre una maggioranza di governo. Il Partito Democratico di Bersani, in leggero vantaggio su Forza Italia e sul Movimento 5 stelle, ha proposto un’alleanza coi penta-stellati, che hanno rifiutato, attenti a smarcarsi da un partito tradizionale e decisi a non sporcarsi il look. Io, budriese del 1968, stanchissimo dello scenario politico italiano, avevo dato il voto al movimento di Beppe Grillo, come altri milioni di cittadini. L’Italia era in ginocchio, fra l’altro priva di un Presidente della Repubblica, in quanto Napolitano aveva esaurito il suo mandato. Abbiamo già dimenticato che in quei mesi la gente, imprenditori ed operai, si suicidava per disperazione. E cosa facevano quelli là? Litigavano, si insultavano, si indignavano “tutti contro tutti”, per dirla alla Gaetano Curreri. Ero molto preoccupato per le sorti del mio paese, nel quale ho la speranza di vivere il resto dei miei giorni e di vedere crescere e realizzarsi le mie due figlie. Speravo persino che Grillo dicesse sì a Bersani, per sbloccare la situazione, per fare qualcosa. Niente di niente. Il segretario democratico non se la sentiva proprio di chiedere l’alleanza a Berlusconi, sarebbe stato un colpo troppo duro per una parte del suo elettorato, abituata ad odiare il leader di Forza Italia e a considerarlo causa unica dei mali italiani. Giorgio Napolitano prorogò di un anno il suo mandato, unico tra i papabili a ricevere il voto dal neonato parlamento. Propose l’incarico ad Enrico Letta, un Pidiessino di area moderata, che riuscì infine a creare la maggioranza con una costola di Forza Italia capeggiata da Angiolino Alfano. Gli eletti del 2013 si distinsero da subito per la cruenta battaglia sulle “quote rosa”: si discusse animatamente sulla legge che garantiva alle donne di essere in parità numerica o quasi con gli uomini, per le successive elezioni politiche. La gente continuava a suicidarsi (ricordo che quasi ogni giorno qualcuno si toglieva la vita, imprenditori sommersi dai debiti o disoccupati incapaci di sfamare la propria famiglia) e i deputati e senatori si scannavano per quella quota. Il governo Letta era efficace quanto il due di coppe quando la briscola è denari. Dopo un anno ci fu il cambio di consegne, il poco elegante passaggio di potere tra Letta e Renzi, che nel frattempo era diventato il segretario del Partito Democratico. Non fu certo un momento simpatico per l’Italia, ma si dimentica il contesto in cui si verificò. La legge elettorale di allora non dava un vincitore certo alle politiche, il parlamento produceva il nulla, l’economia italiana era in ginocchio. Non bastarono gli auspicati cento giorni al nuovo Presidente del Consiglio, per sbloccare qualcosa. Renzi ha messo in atto una politica a tratti impopolare ed è stato ben attento a non esagerare coi tagli, per non inimicarsi i boiardi di Stato. Un esempio per tutti: la gestione del canoneTv ( Rai). Ha fatto risparmiare 13,5 euro a chi già pagava, ma ha costretto a sovvenzionare la televisione di Stato anche chi non lo faceva, col risultato di aumentarle il budget a disposizione e di ingraziarsi i dipendenti di Viale Mazzini. E’ un politico, e come scrisse saggiamente Machiavelli, usa gli strumenti di cui dispone. Il fine giustifica i mezzi. Ecco il punto. A mio parere Renzi ha un fine, sta cercando davvero di combinare qualcosa, di uscire dalla palude degli ultimi quarant’anni (spiace dirlo, ma la palude esisteva ben prima dell’entrata in scena del Cavaliere di Arcore). Se non fosse così, se ne starebbe a tirare a campà come tanti predecessori, senza subire il rancore di elettori di sinistra, tanti, e di destra.
Vuole toccare la Costituzione. Ora che siamo prossimi a decidere, noi cittadini, sulle sorti una quarantina di articoli della stessa, il fiorentino è descritto sempre più spesso come un diavolo, un aspirante dittatore, un criminale.
Argomento 1 dei suoi avversari: non è stato eletto.
Vero, ma siamo stati noi italiani a dividerci in tre partiti di uguale importanza. O no? L’ingovernabilità scaturita dalle urne nel 2013 non se l’è inventata lui. Che ha fatto per risolverla? Ha ideato l’Italicum insieme al partito che gli ha dato inizialmente possibilità di collaborare, ovvero quello di Berlusconi. Cosa doveva fare altrimenti? L’Italicum prevede un vincitore in ogni caso: se un partito raggiunge il 40% dei voti ottiene il premio di maggioranza che lo porta ad avere i numeri per governare, sennò va al ballottaggio col secondo partito e uno dei due prevale, riuscendo comunque a governare. Pressappoco come avviene per i Sindaci nelle elezioni amministrative. Forse alcuni non sanno che in Spagna stanno cercando di formare un governo da quasi due anni, incapaci di trovare una maggioranza. Si vota, si rivota e nessuno ottiene i numeri. In Spagna c’è il sistema proporzionale e penso che a Madrid, Barcellona e Siviglia sarebbero ben contenti di un “Ispanicum”, una legge elettorale che garantisce un vincitore.
Ovvio che Berlusconi ed i suoi scagnozzi, tra cui l’incredibile Brunetta, accortisi che si stavano appiattendo sulla figura del Premier, abbiano poi avversato la nuova legge elettorale digrignando i denti. In Italia il partito viene prima del paese. I partiti di opposizione, a cominciare dal PCI, hanno sempre detto no alla maggioranza, a prescindere. Dare addosso al governo paga, e lo sa bene Grillo.
Argomento 2. I partigiani hanno rischiato la vita e combattuto il nazifascismo per la nostra Costituzione.
Questo argomento è il più bello. Viene da pensare che i valorosi partigiani che sceglieveno di darsi alla macchia, tra i boschi dell’Appennino, avessero due parole d’ordine per entrare nei loro rifugi: “Bi-ca-me-ra-li-smo per-fet-to”. Se il partigiano Lupo voleva che gli aprissero doveva sussurrare così. Ma per piacere..
I partigiani erano socialisti, comunisti, liberali, repubblicani, avevano tante idee diverse ed una sola in comune: liberare l’Italia dal fascismo e dai tedeschi. Punto. Modificare la Costituzione non è mancare di rispetto a loro. Tirarli in ballo e manipolarli ancora una volta, a 70 di distanza, è indegno.
Argomento numero 3. Il Senato modificato non sarà eletto.
Non è vero, perché sarà costituito da Sindaci (eletti) e da Consiglieri Regionali indicati dai cittadini al momento di eleggerli. Sarà ridimensionato nelle funzioni, in quanto si occuperà soltanto di eventuali riforme e leggi costituzionali. Potrà chiedere modifiche anche alle leggi ordinarie, senza però la garanzia di essere ascoltato dalla Camera.
Argomento numero 4. Non è vero che il “bicameralismo perfetto” rallenta i lavori; la prova è data dal fatto che alcune decisioni sono state prese in tre ore, altre in due anni.
Il nostro parlamento è l’unico al mondo ad avere due camere paritarie, per cui il rimpiattino a forza di emendamenti tra Camera e Senato può protrarsi all’infinito. Nel 2015 la legge sul rifinanziamento ai partiti è stata approvata in tre ore. In precedenza una legge sull’Agricoltura aveva impiegato due anni. Argomento che si può rivoltare come un calzino: se passa la riforma anche una legge sull’agricoltura o su un tema che non interessa gli occupanti delle poltrone parlamentari, verrà discussa e approvata in poco tempo. Ovvio che il record di velocità spetterà probabilmente alle proposte per mangiarci più soldi, ma questo succede da decenni. Forse gli strenui difensori del bicameralismo perfetto non se ne sono accorti.
Argomento numero 5. Rischiamo la dittatura.
Ma va là, la dittatura la rischiamo se andiamo avanti così, con un’Italia ingovernabile ed incapace di modificarsi esattamente come era nel primo dopoguerra. Anche allora i partiti si azzuffavano e nulla si muoveva; stiamo fotocopiando i nostri avi di cent’anni fa. La nuova Costituzione si ripropone di sgombrare il campo dagli equivoci su diverse competenze che attualmente sono sia dello Stato che delle Regioni, dando luogo a intricate controversie.
Non andremo a votare se Renzi è simpatico oppure no, se la Boschi è trombabile oppure no, se il nostro partito o Movimento ci dice si o no. Prima di prendere una posizione invito coloro che andranno ai seggi per il referendum a documentarsi sulle modifiche, a leggerle ad una ad una.
Personalmente non mi frega niente delle sorti di questo o quel personaggio politico, di questo o quel partito. Vorrei vivere il resto dei miei giorni in Italia, e lo stesso mi auguro per mia moglie e le mie figlie. Ho preso la decisione di votare si perché penso e spero che la riforma possa migliorare il mio Paese.