Che il distretto di Prato sia diventato una sorta di propaggine italiana della Cina popolare è noto da tempo, come sono conclamate le denunce che da anni i cittadini e le imprese italiane hanno presentato contro una situazione di degrado e insicurezza dell’area. Quante trasmissioni televisive abbiamo visto in proposito? ( REPORT ). Eppure la situazione non è cambiata e per assurdo è anche peggiorata.
I Capannoni sono anonimi e con finestre oscurate da buste nere. Rigorosamente video sorvegliate le aree non permettono l’accesso se non a chi è riconosciuto e ha rapporti di affari. Le finestre e le porte sono sigillate in ogni stagione e nell’aria circola una fuliggine bianca che non è altro che il cotone che svolazza nell’ambiente e che necessariamente viene purtroppo respirato da chi soggiorna in quali ambienti, in mancanza di qualsivoglia sistema di filtraggio e aspirazione.
In quei posti di conclamata inciviltà e pericolosità di vita vivono comunità di cinesi che svolgono la loro opera incessantemente a 50 CENTESIMI di EURO per ogni capo portato a termine di confezione. In quei posti , con accessi solitamente nascosti e riservati, vivono famiglie intere con bimbi piccoli, senza bagni, in agglomerati di convivenza tipo “lager”.
Ebbene tutto questo accade nel nostro Paese, in ITALIA, e le varie iniziative di Guardia di Finanza e autorità sul territorio ad oggi non sono riuscite a minimamente scalfire questa situazione di orribile inciviltà.
Tutto per dare servizi e prodotti alla catena del PRONTO-MODA, all’interno del cui circuito e meccanismo, basato sulla velocità di azione e sulla rotazione di merci e prodotti, si muovono queste realtà di indegna rappresentazione del lavoro. Ma il problema ancora più ampio è la rappresentazione italiana di una realtà che in Cina ha consentito di avviare il cammino della crescita incredibile dell’economia, basata essenzialmente su prodotti a basso prezzo, che sfruttano condizioni di lavoro assurde, senza alcuna protezione civile sociale. Ebbene questa situazione è causa della tessa crisi del mercato mondiale che ha favorito, con le grandi catene commerciali e con i grandi marchi commerciali, lo sviluppo di queste realtà.
Non sono bastati i proclami e i capitolati che vengono fatti firmare dai committenti alle aziende Cinesi (e non solo), circa il non utilizzo di manodopera minore, di non applicazione di norme igieniche e di lavoro minime (orari, ambienti etc..). Se i Committenti richiedono prezzi sempre più bassi a solo vantaggio del profitto e del moltiplicatore di vendita, è chiaro che questo fenomeno aumenta e si espande. Come si espande il divario sociale tra classi ricche e classi decisamente sotto il livello minimo di povertà di vita e sociale.
E ora l’espansione del lavoro con accoglienza sul nostro territorio di Aziende e Imprese organizzate da cinesi per svolgere il lavoro “in situ” , ma applicando le condizioni di vita del paese di origine, è quanto di peggio possa immaginarsi e il risultato è poi sotto gli occhi di tutti.
Aziende italiane chiudono, aziende cinesi proliferano, ma in situazioni di assoluta mancanza di equilibrio competitivo e in condizioni di evidente tragedia sociale.
L’evento appena accaduto a Prato faccia riflettere, il tempo è maturo per porre fine a questa porcheria incredibile.